Una vicenda drammatica ha scosso Ostia, dove una ragazza di 14 anni ha trovato il coraggio di denunciare i maltrattamenti subiti in famiglia. La giovane ha raccontato di essere stata costretta a indossare il burqa e a studiare il Corano, mentre i suoi genitori la picchiavano e la maltrattavano. La condanna di mamma e patrigno a due anni di reclusione segna un passo importante nella lotta contro la violenza domestica e le imposizioni culturali.
La denuncia della giovane vittima
Il 13 giugno 2000, la ragazza ha contattato i carabinieri per raccontare la sua drammatica situazione. Ha descritto un ambiente familiare oppressivo, in cui la violenza fisica era all’ordine del giorno. Secondo quanto riportato, i genitori la picchiavano con un bastone lungo circa 60 centimetri, infliggendole ferite e traumi psicologici. Una compagna di scuola ha confermato le sue parole, rivelando che la giovane era spesso costretta a rimanere chiusa in casa, senza la possibilità di uscire con le amiche. “Le ho visto qualche livido addosso e mi ha raccontato di botte e maltrattamenti”, ha dichiarato la compagna.
In un tema scolastico, la ragazza ha espresso il suo sogno di diventare chirurga, ma ha anche scritto di sentirsi costretta a tornare in Bangladesh per sposarsi, un destino che la rendeva infelice. La sua testimonianza ha messo in luce una realtà di sofferenza e privazione della libertà, dove le sue aspirazioni venivano sistematicamente soffocate.
La vita sotto controllo
Durante l’audizione protetta, la giovane ha raccontato di come la sua vita fosse costantemente monitorata dai genitori. Non poteva comunicare liberamente con le amiche, poiché ogni messaggio doveva passare attraverso un parente che controllava le sue conversazioni. La televisione era un altro strumento di controllo: non le era permesso di usarla da sola, e poteva guardarla solo in compagnia della famiglia, seguendo i programmi scelti dai genitori. Ogni tentativo di ribellione si traduceva in schiaffi e insulti, creando un clima di paura e repressione.
La ragazza ha anche evidenziato l’assenza di sostegno da parte del padre, che, pur non avendola mai picchiata, non ha mai preso posizione a favore delle sue scelte. “Preferiva vedermi sposata e infelice, piuttosto che contenta di andare a scuola”, ha dichiarato, evidenziando una mentalità che poneva le tradizioni familiari sopra il benessere della figlia.
La difesa dei genitori
Dall’altra parte, l’avvocata Lucia Gasperini, legale dei genitori, ha presentato una versione diversa dei fatti. Secondo la difesa, i genitori sarebbero arrivati in Italia con l’intento di garantire un’istruzione alla figlia, senza mai imporle il burqa. “L’hanno educata secondo le loro tradizioni, come sono stati educati”, ha affermato l’avvocata, sottolineando che la famiglia soffre per la lontananza dalla ragazza.
Gasperini ha aggiunto che, sebbene i genitori avessero delle aspettative, non avrebbero mai ostacolato le scelte della figlia. “Se la ragazza desidera seguire altre regole, non la bloccheranno”, ha concluso, cercando di difendere la posizione dei genitori in un contesto legale complesso.
La condanna di mamma e patrigno rappresenta un segnale importante nella lotta contro la violenza domestica e le imposizioni culturali, evidenziando la necessità di proteggere i diritti delle giovani donne e garantire loro la libertà di scegliere il proprio futuro.