Il drammatico episodio avvenuto il 5 giugno 1975 a Cascina Spiotta, frazione di Melazzo, continua a far discutere e a svelare dettagli inediti. La sparatoria, che costò la vita al maresciallo Giovanni D’Alfonso e alla brigatista Mara Cagol, è al centro di un processo che mira a fare luce su quanto accadde in quel giorno fatidico. Recenti testimonianze hanno riaperto il dibattito su chi fosse presente e sul ruolo di alcuni brigatisti, tra cui Pietro Bassi, noto come “il biondo”.
Il contesto della sparatoria
Cascina Spiotta, situata nella provincia di Alessandria, è diventata il teatro di un conflitto tra un commando di brigatisti e i carabinieri, in seguito al sequestro dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia. Il 5 giugno 1975, durante un’operazione di salvataggio, si verificò uno scontro a fuoco che portò alla morte di due persone: il maresciallo Giovanni D’Alfonso e la brigatista Mara Cagol. Questo evento segnò un capitolo tragico nella storia delle Brigate Rosse e della lotta armata in Italia.
Le indagini sull’accaduto hanno subito un’accelerazione con il processo attualmente in corso presso la Corte d’Assise di Alessandria. Le dichiarazioni di Lauro Azzolini, uno dei dirigenti delle Brigate Rosse, hanno fornito nuovi elementi per la ricostruzione di quel giorno. Azzolini, ora ottantunenne, ha affermato che solo lui e Cagol si trovavano nella cascina, mentre gli altri membri del commando non erano presenti. Queste affermazioni hanno sollevato interrogativi sulla verità storica e sulla dinamica degli eventi.
Il ruolo di Pietro Bassi
Pietro Bassi, figura controversa e meno nota rispetto ad altri brigatisti, è emerso nuovamente nel dibattito. Originario di Casalpusterlengo, Bassi è deceduto nel 2020 all’età di 71 anni. La sua mancanza di dichiarazioni pubbliche e la sua distanza da accordi con la giustizia lo hanno reso un personaggio enigmatico. Se fosse stato in grado di testimoniare, avrebbe potuto fornire dettagli cruciali sulla sparatoria e sul contesto in cui si svolse.
Nel 1975, Bassi era già un membro attivo delle Brigate Rosse e aveva una passione per la filosofia. La sua ultima residenza era in una casa popolare al Giambellino, e si era legato sentimentalmente alla figlia di un partigiano. La sua storia è intrecciata con quella di altri brigatisti, come Massimo Maraschi, che si era reso protagonista di un incidente il giorno prima del sequestro. Maraschi, catturato dai carabinieri, si era dichiarato prigioniero politico, rivelando così la sua identità.
Testimonianze e nuove scoperte
Le indagini condotte dai carabinieri del Ros di Torino hanno portato alla luce nuove testimonianze. Una testimone, riconosciuta dagli inquirenti, ha affermato di aver identificato Bassi in un album fotografico, confermando la sua presenza a Cascina Spiotta. Questa donna, che viveva nelle vicinanze, era stata incaricata dalla Cagol di lavorare nei vigneti della cascina. La sua testimonianza potrebbe rivelarsi fondamentale per chiarire ulteriormente i dettagli di quel giorno.
In aggiunta a Cagol e Azzolini, un’altra testimone ha menzionato la presenza di quattro brigatisti, i cui nomi non sono stati specificati, ma che provenivano da Genova. Queste informazioni suggeriscono che la composizione del commando fosse più ampia di quanto inizialmente ipotizzato. Bassi, insieme a un altro uomo somigliante a Alfredo Buonavita, potrebbe aver avuto un ruolo significativo nella dinamica della sparatoria.
Il processo in corso rappresenta un’opportunità per rivedere e riconsiderare le versioni storiche legate a questo tragico evento. Con l’emergere di nuove testimonianze e prove, la verità sulla sparatoria di Cascina Spiotta potrebbe finalmente venire a galla, offrendo un quadro più chiaro di una delle pagine più oscure della storia italiana recente.