Il 18 marzo 2025, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite presenterà un rapporto cruciale riguardante la situazione dei diritti umani in Iran. Questo documento evidenzia l’uso di droni e tecnologie digitali per monitorare il rispetto della legge sull’hijab, rivelando una strategia di sorveglianza statale che coinvolge anche la popolazione civile. Le autorità iraniane incoraggiano i cittadini a segnalare le donne che non rispettano il codice di abbigliamento, contribuendo a un clima di repressione sempre più intenso.
La sorveglianza tecnologica in iran
Il rapporto dell’Onu sottolinea come la capitale Teheran e le regioni meridionali dell’Iran siano soggette a controlli severi. Le conseguenze per le donne che non indossano correttamente l’hijab possono essere drammatiche: gli osservatori segnalano che un semplice errore nell’abbigliamento può portare a arresti, violenze fisiche e persino abusi sessuali in custodia. A due anni e mezzo dall’inizio delle proteste seguite alla morte di Mahsa Amini, le donne continuano a subire discriminazioni sistematiche, che si riflettono in ogni aspetto della loro vita quotidiana.
Le autorità hanno implementato sistemi di riconoscimento facciale presso luoghi pubblici, come l’Università Amirkabir di Teheran, per identificare le donne che non rispettano le norme sull’hijab. Inoltre, le telecamere di sorveglianza installate lungo le strade principali vengono utilizzate per monitorare il comportamento delle donne, creando un ambiente di paura e controllo.
Strumenti di repressione: droni e app spia
La polizia iraniana ha adottato droni e applicazioni spia per intensificare la sorveglianza. Una delle app più utilizzate è “Nazer“, sviluppata dal Comando delle Forze dell’Ordine della Repubblica Islamica dell’Iran. Questa applicazione consente ai cittadini di segnalare donne che non indossano il velo, anche in contesti pubblici come ambulanze, autobus e taxi. Gli utenti possono fornire dettagli come luogo, data e numero di targa del veicolo, facilitando così l’intervento delle autorità.
Il rapporto dell’Onu riporta anche casi di violenza sessuale avvenuti in custodia. Una donna, ad esempio, è stata arrestata, picchiata e sottoposta a torture, inclusi tentativi di esecuzione fittizi e abusi sessuali di gruppo. Questi eventi evidenziano la brutalità del sistema di giustizia iraniano, che non mostra segni di indipendenza dal potere politico.
La sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite
La sessione del 18 marzo rappresenta un momento cruciale per la comunità internazionale, poiché il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite discuterà la situazione in Iran e rinnovare i mandati della Missione di accertamento dei fatti e del Relatore speciale. Amnesty International sottolinea l’importanza di questa occasione per difendere i diritti delle donne e delle ragazze iraniane, che sono costantemente minacciate dalle autorità.
Diana Eltahawy, vicedirettrice regionale di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord, afferma che le autorità iraniane vedono le donne che rivendicano i propri diritti come una minaccia per il regime. Questo clima di repressione si è intensificato ulteriormente dopo la Giornata internazionale della donna, con arresti arbitrari di attiviste e manifestanti.
Repressione delle attiviste dopo la Giornata della donna
Negli ultimi giorni, Amnesty International ha denunciato un aumento della repressione contro le attiviste in Iran. Dall’8 marzo, le autorità hanno arrestato almeno cinque donne, tra cui Leila Pashaei e Baran Saedi, che avevano partecipato a eventi per la Giornata internazionale della donna nella provincia del Kurdistan. Queste donne sono state detenute in isolamento e interrogate senza la presenza dei loro avvocati.
Leila Pashaei, arrestata il 10 marzo, aveva parlato contro l’obbligo del velo e altre forme di violenza di genere durante un evento. Le autorità temono il potere delle donne e la loro capacità di mobilitarsi, e questo porta a una repressione sempre più violenta. Il movimento delle donne in Iran ha raggiunto un punto di non ritorno, e le attiviste continuano a lottare per i loro diritti nonostante le gravi conseguenze.