La presentazione del libro di Patrick Zaki ha attirato l’attenzione su una questione drammatica: la detenzione in Egitto di circa 50 mila oppositori politici. Questi individui sono privati della libertà esclusivamente per le loro opinioni politiche, senza il rispetto dei diritti fondamentali. Un evento che ha visto Zaki, insieme alla giornalista Laura Cappon e alla traduttrice Sabina Bernardi, condividere la propria esperienza dolorosa.
La detenzione di Patrick Zaki: un racconto di ingiustizia
Patrick Zaki, studente e attivista, ha vissuto un incubo di 22 mesi di detenzione in Egitto. Durante la presentazione, ha raccontato come la sua incarcerazione fosse dettata dalla volontà del governo di silenziare le voci critiche. Dopo un lungo periodo di detenzione senza accuse specifiche, l’amministrazione egiziana si è vista costretta a trovare un pretesto legale. Hanno infine citato un articolo da lui scritto riguardante la comunità copta, descrivendo questa minoranza spesso discriminata. Zaki ha sottolineato che i membri della comunità copta, lungi dall’essere considerati una “minoranze” da emarginare, lo hanno sostenuto in massa, dimostrando una solidarietà che trascende le divisioni.
La critica aperta sulla mancanza dei diritti umani in Egitto è stata il vero motivo del suo arresto. Zaki ha spiegato come l’opposizione a regime e leggi oppressive possa comportare gravi conseguenze per chi sceglie di parlare. Le parole di Zaki risuonano con forza, ponendo alla ribalta la necessità di garantire la libertà di espressione e i diritti civili in un contesto come quello egiziano, dove la repressione è sistematica.
L’impatto della detenzione sulla vita di un attivista
Durante il suo intervento, Zaki ha parlato in modo aperto e vulnerabile del lungo procedimento di recupero dal trauma subito. Ora, con il supporto di una equipe di psicologi, sta cercando di affrontare i ricordi dolorosi e i traumi di quei mesi bui. “Scrivere un libro è un modo per affrontare il dolore”, ha affermato, rimarcando l’importanza della narrazione nell’elaborazione di esperienze traumatiche.
Nonostante il distacco fisico dalla prigione, Zaki ha confessato di continuare a sperimentare incubi e ansie quotidiane. Il senso di insicurezza lo accompagna, sia in Italia che in Egitto. Ha menzionato in particolare l’inizio di febbraio, un mese difficile per lui, ricordando il momento in cui fu arrestato cinque anni fa. La cicatrice lasciata dalla prigionia è profonda e difficile da estirpare, segno di esperienze che rimarranno impresse nel suo cuore per sempre.
Un legame inaspettato con il caso Regeni
Zaki ha accennato a un fatto interessante riguardo alla sua detenzione: la coincidenza con il caso di Giulio Regeni. La vicenda del ricercatore italiano, scomparso in Egitto e successivamente trovato morto, ha avuto un impatto significativo anche su di lui. “Il caso Regeni ha avuto un influsso sul mio”, ha detto, suggerendo che le autorità egiziane fossero riluttanti a permettere un altro caso simile che potesse attirare ulteriori critiche e proteste internazionali. Questo legame mette in luce come tutte le storie di ingiustizia siano interconnesse e come la lotta per i diritti umani non conosca confini nazionali.
Nel suo libro, Zaki non solo racconta la propria esperienza, ma invita tutti a riflettere sulla situazione in Egitto e sul trattamento riservato agli oppositori politici. La sua storia, ricca di insegnamenti e testimonianze, rappresenta un appello per una maggiore consapevolezza globale sui diritti umani e la libertà di espressione, sfide ancora attuali in molte parti del mondo.