La demenza frontotemporale è una malattia neurodegenerativa di crescente rilevanza, recentemente portata all’attenzione pubblica dalla diagnosi della star di Hollywood Bruce Willis. Questa patologia, che colpisce i lobi frontali e temporali del cervello, rappresenta la terza forma di demenza più comune dopo l’Alzheimer e la demenza a corpi di Lewy. La ricerca italiana ha fatto un passo avanti significativo, rivelando potenziali nuove terapie per affrontare questa malattia complessa.
La demenza frontotemporale: un quadro clinico complesso
La demenza frontotemporale si distingue per il suo impatto sulle funzioni cognitive e comportamentali. A differenza di altre forme di demenza, i sintomi possono variare notevolmente da paziente a paziente, rendendo la diagnosi e il trattamento particolarmente sfidanti. I lobi frontali e temporali, le aree del cervello coinvolte, sono cruciali per la regolazione delle emozioni, del comportamento sociale e del linguaggio. Con il progredire della malattia, i pazienti possono manifestare cambiamenti di personalità, difficoltà di comunicazione e una progressiva perdita di autonomia nelle attività quotidiane.
Attualmente, non esistono terapie in grado di modificare il decorso della demenza frontotemporale. Le opzioni terapeutiche disponibili si concentrano principalmente sul controllo dei sintomi, senza affrontare le cause alla base della malattia. Tuttavia, la crescente evidenza scientifica suggerisce che la neuroinfiammazione potrebbe giocare un ruolo cruciale nello sviluppo della patologia. Questo ha portato i ricercatori a esplorare nuove molecole in grado di modulare l’infiammazione cerebrale, con l’obiettivo di rallentare la progressione della malattia.
La ricerca della Fondazione Santa Lucia IRCCS
Un’importante ricerca condotta dalla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma ha esaminato l’efficacia di una nuova molecola, la co-ultraPEAlut, composta da Palmitoiltanolamide e luteolina , sottoposta a ultramicronizzazione. Questo studio, guidato dal professor Giacomo Koch e dalla professoressa Barbara Borroni, membri del Comitato Scientifico di AIMFT, ha mostrato risultati promettenti nel trattamento della demenza frontotemporale.
I risultati preliminari, pubblicati sulla rivista scientifica Brain Communications, hanno rivelato che la co-ultraPEAlut potrebbe ridurre la progressione della malattia. Già nel 2020, un precedente studio pilota aveva evidenziato i potenziali benefici di questa molecola, suggerendo che essa agisca modulando l’attività dell’acido γ-amminobutirrico , un neurotrasmettitore fondamentale per la regolazione dell’eccitabilità neuronale e delle funzioni cognitive.
Dettagli dello studio clinico randomizzato
Per confermare l’efficacia della co-ultraPEAlut, è stato condotto uno studio clinico randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco, su un campione di 50 pazienti affetti da demenza frontotemporale. Questo trial, della durata di 24 settimane, ha avuto come obiettivo principale la valutazione dell’impatto del trattamento sulla progressione della malattia, sui sintomi cognitivi e comportamentali, nonché sulle capacità di vita quotidiana e sulle funzioni linguistiche.
I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno ha ricevuto la co-ultraPEAlut , mentre l’altro ha assunto un placebo. I risultati hanno mostrato un rallentamento significativo del peggioramento della malattia nei pazienti trattati con la molecola, con effetti positivi sulle autonomie funzionali e sulle capacità linguistiche.
Implicazioni e prospettive future
Il professor Koch, vice-direttore scientifico della Fondazione Santa Lucia IRCCS e ordinario di Fisiologia presso l’Università di Ferrara, ha commentato i risultati, sottolineando come il trattamento con co-ultraPEAlut abbia dimostrato di ridurre la gravità della malattia. Inoltre, il confronto con il gruppo placebo ha evidenziato un calo minore nei punteggi delle autonomie nella vita quotidiana, suggerendo un potenziale ruolo della molecola nel rallentare la compromissione funzionale.
Silvana Morson, presidente della AIMFT, ha evidenziato l’importanza di questi risultati per le famiglie dei pazienti affetti da demenza frontotemporale, aprendo nuove possibilità terapeutiche in un ambito che attualmente non dispone di trattamenti specifici. Tuttavia, è fondamentale proseguire con ulteriori studi per confermare l’efficacia clinica della co-ultraPEAlut e per comprendere meglio i suoi meccanismi d’azione. La ricerca continua a rappresentare una speranza concreta per migliorare la qualità della vita dei pazienti e delle loro famiglie.